La Gazzetta sul Bancone: “Milan in cielo” con Carletto Ancelotti

Correva l’anno 2004 e il Milan di Carlo Ancelotti esultava con due giornate di anticipo per la preannunciata vittoria del 17esimo scudetto dei rossoneri.

La Gazzetta dello Sport parlò di “titolo strameritato” e il compito di raccontare l’ennesimo traguardo di quel Milan che faceva sognare tutti i tifosi, fu affidato a Candido Cannavò:

Non c’è gomito alzato, cecità di arbitro, né vile agguato di lanciatori romanisti di petardi (una vergogna in Mondovisione) a togliere un briciolo di nobiltà a questo scudetto del Milan. Sontuoso, regale, strameritato, al di là di un record di punti che potrà resistere cent’anni. Nulla può macchiare questa conquista“.

La partita quel giorno iniziò con una tensione fuori da San Siro, in quanto si verificarono dei tafferugli quando gruppi di ultrà rossoneri vengono a contato con parte dei tifosi giallorossi agli ingressi dello stadio. Tuttavia, l’ingresso allo stadio degli spettatori venne effettuato senza gravi episodi.

Quel giorno la Roma non ebbe nemmeno il tempo di ragionare su come battere i Diavoli nel loro “Colosseo” milanese: al 2′ Kakà crossò alla perfezione per Shevchenko che di testa riuscì a battere Pelizzoli. Il Milan andò così in vantaggio, poichè la vittoria dello scudetto era letteralmente dietro l’angolo. La prima palla gol giallorossa fu invece al 39′, con Candela che sbagliò in area su assist di Emerson.

Non potè mancare il “momento polemica”, con un gol negato ai giallorossi durante il secondo tempo. Ruggiero Palombo scrisse di “arbitri e veleni” e di come il Milan ne avrebbe fatto volentieri a meno:

L’arbitro Messina potrà pure dire di non aver visto, ma, osservando dov’era, ci si domanda come abbia fatto. Quel rigore è grosso così e, ironia della sorte, è identico a quello che a Siena, appena due settimane fa, Collina aveva fischiato proprio contro Shevchenko. C’è del veleno, superfluo e alquanto sgradevole, sulla coda della stagione e proprio perchè il Milan si lo è strameritato questo scudetto, giova parlarne subito e con chiarezza“.

Il protagonista indiscusso della partita che ha confermato il valore del Milan durante la stagione 2003/2004, è stato indubbiamente Kakà. Franco Arturi ha speso due parole in merito, commentando uno dei calciatori di maggiore qualità e talento della Serie A dei primi anni duemila:

L’uomo dello scudetto non è Sheva, che vola al titolo di capocannoniere, e nemmeno il generale Pirlo. Non Tomasson con i suoi gol venuti dal nulla. Non Costacurta, campione a 38 anni, fra i più anziani della storia. Non l’imperiale Maldini, anche lui al settimo titolo. E nemmeno Nesta, l’eleganza fatta differenza. Neanche Dida, primo portiere brasiliano a vincere il campionato italiano, o il connazionale Cafù […] Il vero uomo scudetto si chiama Kakà“.

Il Milan quel giorno toccò il cielo con un dito e fu grazie ad una leadership autentica, tanto talento, grinta, passione e cuore. Valori che una società e un allenatore come Carlo Ancelotti seppero instaurare nel cuore di ognuno di quei campioni.

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