La Gazzetta sul Bancone: anatomia del “Paron”

Quando il 20 febbraio 1979, il “ParonNereo Rocco si spense in una mattina gelida a Trieste, tutto il mondo del calcio gli rese giustamente omaggio.

Crediti foto: storiedicalcio.altervista.org

La Gazzetta dello Sport non si esentò e gli dedicò una bellissima prima pagina il giorno successivo, corredata di un commento a cura di Bruno Raschi:

Nereo Rocco, che per tanti anni abbiamo considerato “dei nostri” nel senso più affettuoso e più vero, per la costante partecipazione umana alle vicende più diverse della vita (e quali mai non lo interessavano? ci vorremmo chiedere ora), era un personaggio suggestivo e senza tempo. Era così vero da parere ogni tanto teatrale, disponibile sempre alla battuta, all’ironia, alla commedia intesa come una versione, la più diretta, della realtà. Se fosse nato due secoli prima, sarebbe piaciuto al Goldoni che avrebbe potuto ambientarlo quasi dappertutto, ma sempre con la stessa divisa, con quel garbo plebeo che rispondeva al suo stile e del quale si faceva vanto.”

Nato a Trieste il 20 maggio 1912 e cresciuto nel vivaio della Triestina, iniziò la sua carriera giocando in tutti i ruoli dell’attacco. Esordì in Serie A a 17 anni, il 6 ottobre 1929 in Triestina-Torino, e militò con la sua squadra per ben otto stagioni, dove collezionò 220 presenze e 7 gol. La sua carriera in campo terminò il 26 maggio 1940, con un bilancio di ben 272 partite giocate e 70 reti. Vantò inoltre:

  • Una presenza in Nazionale, giocando a Milano Italia-Grecia (4-0): partita di qualificazione alla Coppa del Mondo.
  • Quattro presenze e tre reti realizzate in Nazionale B, con l’esordio a Vercelli in Italia-Ungheria (4-4).
Crediti foto: picswave.com

La sua carriera da allenatore fu altrettanto florida, basti pensare che portò il Milan ai maggiori trionfi, consentendo ai rossoneri di vincere due Champions League e una Coppa Intercontinentale. Oltre ai Diavoli, allenò: Triestina, Treviso, Padova e Fiorentina. Prima della sua morte, svolse l’attività di consigliere tecnico del Milan durante la stagione 1975-1976.

Sapeva di calcio come pochi e ne parlava con degli accenti, con delle sfumature, che solo ascoltandolo si potevano apprezzare. Parlava in generale per immagini, con una dialettica elementare tanto incisiva che sconfinava sovente nell’aforisma. […] Costruita la squadra, la teneva insieme magari oltre i limiti del lecito con la colla magica dell’affezione. [..] Del suo Milan, oggi primo in classifica ed orfano di miti, gli era rimasto un figliolo: Rivera. A Rivera, cresciuto di anagrafe e di rango, un pochino distaccato, leggermente prodigo, faceva ancora risalire le sue glorie e le sue nostalgie.”

Bruno Raschi

A distanza di quarant’anni dalla sua morte, non possiamo dimenticarci di una figura che ha fatto la storia del calcio e che prima ancora di essere giocatore e allenatore, era un Uomo, “l’ultimo patriarca di una generazione che ha ormai concluso le sue navigazioni.”

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